Despressione
La “depressione” (disturbo distimico, melanconia, …) è, tra i disturbi dell’umore, il problema maggiormente lamentato da chi accede alla psicoterapia.
La persona depressa è sempre descritta attraverso “la tristezza”, che è un’emozione fondamentale e molto utile quando si vive una perdita. Questa tristezza si manifesta ad esempio con una disregolazione nell’assunzione del cibo (mangia troppo oppure non ha appetito), oppure nei cicli sonno-veglia (con insonnia o al contrario col dormire molte ore al giorno).
L’elemento centrale però è quasi sempre il senso di inutilità nel vivere e nella mancanza di motivazione nel fare varie attività (anche quelle che dovrebbero procurare piacere) e nel “dover avere a che fare con gli altri”, e quindi il conseguente senso di fatica nell’intraprendere o portare a termine la giornata. La mattina, con tutta la giornata da affrontare, è il momento più difficile del depresso che come racconta il mito di Sisifo è condannato a fare una inutile fatica per tutte le ore che lo separano dalla sera, momento in cui rientra a casa, non avrà più motivi di sforzarsi, potrà dormire.
Il problema in cui è calato il depresso è molto complesso, e rimanda al senso di solitudine e di lontananza dal mondo relazionale degli altri esseri umani. Questo senso di solitudine è alternativamente interpretato dal depresso come il frutto di una “congenita” indegnità (non amabilità, mancanza di autostima, assenza di caratteristiche attraenti, …) che deve assolutamente nascondere, oppure come conseguenza della “cattiveria” degli altri (che non lo vogliono, non lo amano, lo allontanano). L’oscillazione emotiva che vive è quindi sul piano della tristezza per l’innata incapacità ad essere disinteressatamente amato e accudito e la rabbia per il mancato interesse verso di lui, l’aperto rifiuto, o addirittura l’ostilità da parte degli altri.
In psicoterapia ci si trova spesso a “combattere” contro il senso di inutilità (il sentirsi “senza speranza”) e di non essere aiutabile che il paziente manifesta soprattutto all’inizio del trattamento e che pone un serio ostacolo alla terapia (il paziente la interrompe perché sente che la terapia è inutile e che il terapeuta non può aiutarlo). Anche in questo caso però, ogni qual volta il paziente ne dà l’opportunità al terapeuta (anche in termini di durata della psicoterapia) è possibile articolare e integrare i vari piani della vita psicologica del paziente, in modo che il piano cognitivo (il “ragionare”) sia sempre più “allineato” con i piani comportamentali e emotivo.
L’ipnoterapia con questo tipo di pazienti è particolarmente utile quando si riesce a “allentare” almeno un po’ il rigido controllo cognitivo e si facilitano al paziente esperienze caratterizzate dal “lasciarsi andare” all’accudimento e all’immaginazione.